Il ritrovamento della meteorite di Barcis
Il ritrovamento di una meteorite è sempre un evento straordinario e, per il loro spiccato senso di osservazione e per la grande voglia di sapere che le guida, straordinarie sono anche le persone che ne sono coinvolte.
L’operato di queste persone, in occasione della scoperta della meteorite di Barcis, ci fa capire perché, dal dopoguerra ad oggi, in un’Italia che è stata quasi completamente rivoltata dai cantieri della ricostruzione e da quelli delle grandi opere, solo nel cantiere della nostra diga vi sia stato il ritrovamento di una meteorite.
Siamo a Barcis, nel 1953, e si stanno completando i lavori della diga nella forra di Ponte Antoi che, sbarrando il Cellina, darà origine al lago artificiale di Barcis (lago Aprilis), un invaso di circa 20 milioni di metri cubi, per produrre energia idroelettrica e per irrigare la pianura sottostante.
I lavori prevedono anche la costruzione di una strada lungo la riva destra del lago, in sostituzione di una carrareccia che verrà sommersa dall’acqua.
Durante i lavori di scavo, vengono alla luce tre sassi pesanti e strani, che attirano l’attenzione degli operai che li rimuovono e li adagiano a bordo scavo confidando che qualcheduno, più istruito, sia in grado di classificarli.
Due di questi sassi sono relativamente piccoli: uno di qualche etto di peso e l’altro di circa 3 kg, ma il terzo è talmente pesante da richiedere un considerevole sforzo per essere rimosso.
In mensa, luogo di ritrovo delle varie squadre di operai impiegati nel progetto diga, gli scopritori dei “sassi” parlano del loro ritrovamento.
Alle parole “sassi strani” Umberto Brancaleone, un giovane operaio bellunese, che già da alcuni anni lavora alla diga, si avvicina ai colleghi per saperne di più.
Umberto ha vent’anni, viene da Taibon, una cittadina vicino ad Agordo, sede della Scuola Mineraria più antica d’Italia. Qui la gente sa moltissime cose sui “sassi” tanto che tra amici, alcuni già Periti Minerari e altri ancora studenti, oltre che di lavoro, di ragazze e di sport, si discute spesso anche di “sassi”.
A Taibon Umberto racconta ai suoi amici del ritrovamento avvenuto a Barcis e, come spesso succede, tutti si prodigano con varie ipotesi sulla natura di quei sassi ma, non riuscendo a produrre un’ipotesi convincente e condivisa, gli chiedono se sia possibile avere un campione da analizzare. Umberto non si fa pregare, a quel tempo l’amicizia è una cosa seria e, ritornato al cantiere, preleva uno dei tre “sassi”, quello medio dal peso di poco più di 3 kg (gli altri due, purtroppo, andranno perduti) e, quando ritorna a casa, lo porta agli amici.
Il mezzo di trasporto di Umberto è una bicicletta, una Bottecchia di cui va molto fiero e con la quale, settimanalmente, affronta il viaggio casa-cantiere e ritorno: 160 km attraverso valli e passi con lo zaino carico con quanto gli serve per stare in cantiere e, questa volta, anche con il “sasso”.
Pur avendo il “sasso” a disposizione, gli amici di Taibon non riescono a capirne la natura e Giovanni Della Lucia, studente al primo anno dell’Istituto Minerario, se lo prende in carico, sicuro di poterne svelare l’arcano.
Giovanni è un appassionato di minerali e, pur essendo tra i più giovani del gruppo, s’è già guadagnato il rispetto di tutti per le sue conoscenze di rocce e minerali e per una serie di importanti campioni trovati nell’Alto Agordino e mai prima segnalati.
L’aspetto come fosse “bruciacchiato”, il peso non sufficiente per essere costituito solo di metallo, e quelle inclusioni giallognole dall’aspetto vetroso che, avendo ricercato minerali in Val di Fassa, sa essere Olivina, sono le caratteristiche che più lo colpiscono. Giovanni ha un’intuizione, ma non si fida ancora ad esporla agli amici, perché è talmente stravagante che potrebbe rovinargli la reputazione di esperto. Siamo negli anni ’50, nessuno aveva mai parlato di meteoriti e dallo spazio, eventualmente, potevano arrivare solo marziani a bordo dei loro dischi volanti.
L’interesse di Giovanni per i “sassi” è così profondo da averlo spinto a leggere tutto quanto gli sia capitato sull’argomento. In una di queste letture, aveva appreso che, per confermare le origini extraterrestri di un ferro sospetto, bisogna prima limare e lucidare a specchio una faccia e dopo trattare la stessa con una miscela di acido nitrico e alcool.
Se il campione è di origine extraterrestre devono emergere delle figure di cristallizzazione, simili alla trama di un tessuto (figure di Widmanstätten, dal nome dello studioso che per primo notò questo fenomeno).
Giovanni si rende conto che per poter confermare i suoi sospetti sulla provenienza extraterrestre del “sasso” bisogna tagliarne una fetta e questo può essere fatto solo presso la scuola Mineraria di Agordo.
Anche gli insegnati del minerario, che non riescono a classificare il “sasso”, concordano sulla linea investigativa suggerita da Giovanni e si offrono di aiutarlo in cambio di metà del campione, che dovrà rimanere nel museo della scuola.
L’attrezzatura da taglio di cui è dotata la scuola si dimostra inadeguata: il “sasso” presenta delle zone metalliche e delle zone rocciose ed entrambe sono troppo dure per le lame della troncatrice, quindi si decide di farlo tagliare presso un’officina specializzata di Milano.
Il “sasso” viene smezzato e le due metà vengono consegnate a Giovanni affinché, lavorando di lima e di carta vetrata, tiri a specchio le due facce.
Giovanni userà tutto il tempo dedicato alle esercitazioni di officina, e anche molto del suo tempo, per raggiungere il risultato richiesto e, alla fine, quando le due facce vengono trattate con la miscela acido-alcool, le figure di Widmanstätten appaiono: è una meteorite.
La storia ci racconta della grande soddisfazione che Giovanni, Umberto e gli insegnanti della Scuola Mineraria provarono per la scoperta. La loro curiosità, la loro cultura scientifica e le loro intuizioni hanno permesso che il patrimonio meteoritico italiano si arricchisse di un reperto così importante come la meteorite di Barcis.
A loro e agli operai che avevano evidenziato il ritrovamento di quei “sassi strani” va tutta la nostra gratitudine.